ALL’ON. MINISTRO DELLA DIFESA
AL COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI
Pregiatissimi Ministro della Difesa e Comandante Generale, con la presente Vi partecipo una nota per la problematica in oggetto.
1. INTRODUZIONE
In un periodo storico di profondo rinnovamento del sistema della Pubblica Amministrazione italiana, costellato da alterne vicende mediaticamente assunte agli onori della cronaca per i loro aspetti di devianza rispetto all’imprescindibile fiducia del cittadino nei confronti delle Istituzioni statali, appare evidente la necessità di delineare le cogenti problematiche in ordine ai trasferimenti vissute dagli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri che, inevitabilmente, influenzano il presente e, soprattutto, il futuro di una Forza di Polizia a competenza generale come l’Arma dei Carabinieri. Il presente scritto si propone, quindi, di analizzare sinteticamente l’attuale politica di impiego dei ruoli direttivi e dirigenziali dell’Arma dei Carabinieri e di presentare dei possibili tratti migliorativi ed evolutivi rispettivo all’attuale normativa amministrativa vigente.
2. L’ATTUALE SISTEMA DI IMPIEGO DEGLI UFFICIALI DELL’ARMA: CIRCOLARE “NISTRI”
Una recente circolare avente come oggetto “Lineamenti di politica d’impiego degli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri” ed emanata dal Comandante Generale pro tempore, traendo spunto dalla base normativa rappresentata dal Codice dell’Ordinamento Militare e abrogando, di fatto, ogni pregresso intervento amministrativo interno, ha avuto la nobile ambizione di ridisegnare, seppur con specificazione di “flessibilità e carattere orientativo di massima” (sic!), l’impianto della politica di impiego degli Ufficiali dell’Arma precisando che “lo sperimentato sviluppo della carriera degli ufficiali dell’Arma, così come si è consolidato negli ultimi decenni, è fondato su una continua alternanza tra incarichi di comando nelle diverse organizzazioni funzionali e incarichi d’ufficio e di stato maggiore, il cui scopo è avvicinare la dimensione operativa a quella concettuale. Il Legislatore ha, infatti, stabilito lo svolgimento obbligatorio di periodi di comando in incarichi caratterizzanti della vita professionale di un ufficiale, sinora la compagnia territoriale e il comando provinciale […] L’impiego si sostanzia in una scelta discrezionale dell’Amministrazione, secondo un criterio di efficienza. Uno dei cardini fondamentali di questa scelta è l’idoneità a ricoprire l’incarico, orientata al principio de “l’uomo giusto al posto giusto”. Ciò nonostante, gli ufficiali dell’Arma possono interloquire nel tempo con il Comando Generale, con lo strumento del promemoria o nel corso dei contatti diretti con il preposto Ufficio Personale Ufficiali, orientando il proprio gradimento verso i diversi incarichi; in questo modo ciascuno, secondo le sue attitudini e in un rapporto dialogico, contribuisce a costruire il proprio profilo di impiego, impostando quella gravitazione professionale distintiva di ogni individualità. Ogni incarico è assegnato dal Comandante Generale, il quale individua l’ufficiale da destinare a una determinata posizione, tenendo conto dei seguenti elementi: formazione; attitudini manifestate; pregresse esperienze; rendimento ottenuto, desunto principalmente dalla documentazione caratteristica; eventuali indicazioni di impiego pervenute dalla scala gerarchica tramite i Comandi di Vertice, perché testimoniano le capacità dimostrate “sul campo”; motivi di opportunità o di incompatibilità; desiderata dell’interessato. Resta ferma, caratteristica imprescindibile, la più oculata attenzione al fattore umano del rapporto professionale e, dunque, alle esigenze del personale, da tenere sempre nella massima considerazione in qualsiasi attività decisionale e a ogni livello. “
3. ASPETTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO MILITARE RELATIVI AL CONCETTO DI “TRASFERIMENTO”
Le problematiche afferenti alla materia dell’impiego del personale militare hanno da sempre
interessato la dottrina e la giurisprudenza in ordine al suo corretto inquadramento. Con la presente trattazione, si intende procedere a focalizzare brevemente l’attenzione sulle problematiche di ordine giuridico connesse al cosiddetto trasferimento d’autorità.
Prima di affrontare il tema specifico concernente il trasferimento imposto dall’amministrazione al dipendente, è opportuno esaminare, anche al fine di delimitare il campo di indagine, le più importanti differenze intercorrenti tra il trasferimento d’autorità e l’altra tipologia di mobilità del personale militare, attuabile con il trasferimento a domanda. È di tutta evidenza come quest’ultimo sia caratterizzato da un’iniziativa del dipendente che, in relazione a sue particolari esigenze di natura privata o di natura professionale, avanza alla propria amministrazione una formale istanza di movimentazione. In questa fase si instaura un procedimento amministrativo tipico, su iniziativa del militare, a fronte del quale l’amministrazione, nel valutare le esigenze rappresentate dal dipendente, dovrà, nel contempo, verificare che le stesse non siano in contrasto con i propri assetti organizzativi. Ciò in quanto una corretta applicazione del generale principio di contemperamento degli interessi in gioco costituisce una puntuale applicazione del principio fissato dall’art. 97 della Costituzione e garantisce la bontà della decisione adottata.
Tutt’altra natura invece presenta il trasferimento d’autorità, ovverosia quel provvedimento mediante il quale l’amministrazione dispone che un militare venga assegnato, d’ufficio e per esigenze di servizio, da una ad altra sede. Le differenze tra il trasferimento a domanda e quello dalla natura impositiva sono significative non solo sul piano concettuale ma anche sul piano pratico per i numerosi benefits che quello d’autorità riserva all’interessato.
Il trasferimento d’autorità viene scorporato in differenti fattispecie concrete tra le quali alcune appaiono essere dettate da situazioni contingenti ed operative che impongono alla amministrazione difesa di avvalersi di quegli speciali strumenti di cui è in possesso e che la connotano quale amministrazione diversa rispetto alle altre per la peculiarità della attività svolta. Si tratta di casi non isolati ma piuttosto frequenti e che, appunto, in determinate situazioni, esonerano la stessa amministrazione dalla applicazione della normativa generale sul procedimento amministrativo
esaltando la teoria che avvicina il trasferimento d’autorità ad un ordine militare del superiore gerarchico.
Tuttavia queste vicende non sono idonee a fissare una regola valida in qualsiasi momento. Difatti, a fronte di numerose situazioni in cui la natura del trasferimento può in effetti essere associata alla figura dell’ordine militare, ciononostante ve ne sono altre, probabilmente la maggior parte, in cui la movimentazione del militare non evidenzia i tratti tipici dell’urgenza e dell’operatività, bensì si inserisce in un procedimento amministrativo di più ampio respiro, in cui l’amministrazione istruisce e decide mediante una pianificazione generale una pluralità di movimentazioni; è evidente che i singoli provvedimenti di autorità che seguiranno al termine dell’iter istruttorio non sono altro che il risultato coordinato di un unico ed ordinario procedimento in cui l’amministrazione è obbligata a rispettare tutte quelle norme di carattere generale che sono alla base di una corretta e puntuale azione amministrativa, con particolare riferimento ai precetti contenuti nella L. 241/1990. Sussistono infatti tutte le condizioni perché l’amministrazione informi l’interessato dell’avvio del procedimento di trasferimento, individui un responsabile del procedimento, fissi dei termini, consenta al militare di partecipare al procedimento stesso e di accedere alla documentazione di suo interesse. Vi è in sostanza una normale regolazione del rapporto di impiego tra la pubblica amministrazione ed un suo
dipendente. Del resto ciò trova conferma nelle modalità di gestione della stessa amministrazione che, come già sopra esposto, con direttive e circolari non fa altro che avallare l’indirizzo volto ad una procedimentalizzazione del trasferimento di autorità.
4. LE PRASSI CONSOLIDATE E L’EFFETTIVA POLITICA DI IMPIEGO DEGLI UFFICIALI DELL’ARMA DEI CARABINIERI
Tuttavia, pur tenendo in considerazione gli aspetti normativo-regolamentari sinora lumeggiati, è d’uopo descrivere l’effettiva realizzazione degli aspetti teorici in questione che, in sintesi, prevede l’utilizzo pressoché esclusivo del trasferimento d’autorità nei confronti del comparto Ufficiali con una residualità marginale di quello “a domanda”, riservato, de facto, alle sole circostanze tutelate da fonti legislative primarie in tema di tutela del lavoratore (per es. assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità, esercizio del mandato di amministratore locale ecc.).
Con cadenza annuale, nel periodo di agosto/settembre, la totalità del personale Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri (fino al grado di Colonnello compreso), è tenuto alla compilazione del cd. “promemoria” strumento con il quale viene comunicata all’organo di Vertice Centrale, ovvero il Comando Generale, la propria disponibilità all’impiego e le sedi gradite. L’Ufficio Personale Ufficiali dovrebbe utilizzare il promemoria per la preparazione della manovra d’impiego, nell’ambito dei criteri indicati dal Comandante Generale per i movimenti dell’anno corrente che, tuttavia, non hanno carattere di conoscibilità agli interessati né, conseguentemente, valore di atto amministrativo.
A tale fase, segue, di solito nel periodo compreso tra gennaio e luglio, un’interlocuzione telefonica tra gli ufficiali destinatari della manovra di impiego e l’ufficio preposto individuato nel già citato Ufficio Personale Ufficiali, nel corso del quale vengono esaminati i possibili incarichi e sedi di assegnazione, spesso e volentieri senza tener conto minimamente del promemoria compilato e senza alcun criterio afferente il background professionale, le aspirazioni e le necessità familiari del trasferendo, e viene acquisito (a volte con costrizione) un formale e non vincolante “gradimento” o meno riguardo alla posizione individuata dall’ufficio. Dopo questa attività preparatoria vengono formulate le proposte di impiego al Comandante Generale, per l’approvazione e la successiva comunicazione agli interessati. Il preavviso di trasferimento è l’atto con il quale l’ufficiale e la sua scala gerarchica sono informati che sono state avviate le procedure per il trasferimento a una certa sede e a un determinato incarico cui consegue, a meno di variazioni particolari circa gli intendimenti dell’amministrazione e/o dei nulla osta specifici per taluni incarichi, la determinazione di trasferimento (periodo compreso tra maggio e agosto) a firma del Comandante Generale in cui è indicata una data per il movimento (per generali e colonnelli) o una decade (da tenente colonnello a sottotenente), di solito ricomprese nel mese di settembre; in mancanza di una data o di una decade l’ufficiale deve raggiungere la nuova sede e assumere il nuovo incarico entro cinque giorni dalla ricezione della determinazione, o chiedere la licenza di trasferimento, se prevista.
5. CRITICITÀ E ZONE D’OMBRA DELLA POLITICA DI IMPIEGO DEL PERSONALE UFFICIALI
a. Trasparenza della politica d’impiego e criteri di attuazione
Come già anticipato, sfugge alle caratteristiche di pubblicità e conoscibilità la descritta indicazione dei criteri individuati dal Comandante Generale per i movimenti della singola annualità. Vieppiù le vacanze organiche e/o gli incarichi e le sedi da avvicendare non sono anch’esse conoscibili dagli ufficiali in movimento cui vengono esclusivamente proposte alcune delle sedi individuate arbitrariamente dal Personale Ufficiali, senza alcun criterio amministrativamente definito. A mero titolo esemplificativo, a parità di anzianità e grado rivestito, può capitare che una sede/incarico venga proposto a un ufficiale in movimento e non a un suo collega, spesso e volentieri proveniente dallo stesso corso o, comunque, ricompreso nella medesima aliquota di avanzamento. Questa modalità consente, quindi, una completa discrezionalità o meglio arbitrarietà all’Amministrazione e, nei fatti, un vulnus al principio di conoscibilità e trasparenza dell’iter amministrativo per il personale interessato, costretto, di volta in volta, a confidare nei rapporti di fiducia tra colleghi al fine di orientare l’espressione del proprio formale gradimento che, si ribadisce, non costituisce alcun vincolo per il Comando Generale. Inoltre, l’esperienza degli ultimi anni di movimentazione del personale Ufficiali ha dimostrato la totale disapplicazione dell’enunciato concetto dell’ uomo giusto al posto giusto, trasformando nei fatti il trasferimento in una strenua ricerca di occupare le caselle ritenute vacanti, in spregio della considerazione, a seconda dei casi, della professionalità già acquisita, delle aspirazioni professionali e delle necessità familiari con il conseguente nocumento per il buon andamento delle attività istituzionali, giungendo al paradosso di allontanare pregevoli investigatori dal “campo di battaglia” per trasformarli in esperti di logistica o reti telematiche e viceversa.
b. Abuso numerico dell’utilizzo del trasferimento autoritativo
Lo strumento già esplicitato del trasferimento d’autorità nasce dall’esigenza da parte di un’Amministrazione Pubblica di colmare i gap rappresentati dalle sedi meno gradite o, comunque, di difficile implementazione organica per differenti ragioni (geografiche, sociali, culturali ecc.) ed è comunemente considerato per le PP.AA. (e per tutte le altre Forze Armate e di Polizia) una extrema ratio cui aderire solo ed esclusivamente per comprovati motivi di necessità. Quanto sopra per due principali ordini di motivi: il risparmio economico per le casse pubbliche visto l’esborso conseguente a un trasferimento autoritativo e, tra l’altro, la serenità e la realizzazione del personale destinatario del provvedimento. Appare lapalissiana che una “costrizione” all’impiego non può che essere invisa a chi la subisce, generando, quindi, ripercussioni sul mordente e sul rendimento. Per l’Arma dei Carabinieri, invece, come anticipato, è l’esatto contrario. Difatti, la quasi totalità degli avvicendamenti avviene mediante l’uso del trasferimento d’autorità e copia parit fastidium con tutte le conseguenze ad esso sottese. O meglio, lo è solo per il comparto degli Ufficiali visto che i criteri testé enunciati vengono con scrupolo e attenzione applicati per il personale delle categorie Appuntati/Carabinieri, Sovrintendenti e Marescialli. Ed è lecito domandarsi se tale prassi di impiego è dettata dalla finalità di garantire il buon andamento dell’amministrazione militare o, più che altro, dalla volontà di riservare al personale Ufficiali un privilegio economico (indennità di trasferimento ex l. 100/87) de facto vita natural durante.
c. Brevi permanenze negli incarichi ed effetto “trottola”
Le recenti movimentazioni annuali nell’impiego del personale Ufficiali hanno posto in essere una immotivata costante rotazione del personale trasferito costretto a cambiare incarichi o sedi di servizio ogni uno/due/tre/ massimo quattro anni sulla base di un ignoto criterio logico essendo essi, per la quasi totalità, non ricompresi nella disciplina della rotazione quinquennale per incarichi “a rischio” secondo il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione. Tale consolidata abitudine ha generato, oltre al chiaro disvalore per la serenità familiare e, in genere, per la vita privata degli ufficiali interessati, un progressivo scollamento dell’aderenza alle realtà lavorative e territoriali individuate dagli incarichi di Comando, trasformando l’ufficiale in una meteora passeggera, incapace di incidere positivamente nel ruolo ad esso demandato, in costante attesa del prossimo incarico proprio in ragione della estrema provvisorietà del suo mandato che necessiterebbe di una fase di conoscenza e, in seguito, di intervento personale al fine di apportare le modifiche/implementazioni ritenute più congrue.
d. Il costo per le finanze pubbliche
Il sistema sinora tracciato evidenzia, tra le altre cose, oltre che una minore efficienza dell’assetto istituzionale, un immenso ed immotivato esborso economico delle finanze pubbliche operato con cadenza annuale in maniera indiscriminata, visti i trattamenti economici individuati con onere a carico dell’Amministrazione Pubblica dalla L. 10.3.1987 n. 100 recante “Norme relative al trattamento economico e di trasferimento del personale militare” e succ. mod., per la totalità dei trasferimenti autoritativi cui si sommano gli esborsi derivanti dal trasloco degli effetti personali dei singoli Ufficiali e delle loro famiglie, destinatari, in buona parte, di Alloggio di Servizio Gratuito all’Incarico non ammobiliato. Una ingiustificata spesa pubblica che potrebbe facilmente essere evitata o comunque limitata, estendendo realmente l’istituto del “trasferimento a domanda” anche alla categoria Ufficiali.
6. TRASFERIMENTO D’AUTORITÀ E DANNO ESISTENZIALE.
a. le conseguenze sulla sfera privata dell’ufficiale e dei suoi familiari.
Inevitabile è, quindi, dover trattare le conseguenze che l’attuale sistema di trasferimento e impiego comporta sulla sfera privata degli Ufficiali dell’Arma, costretti a cambiare città, incarico, abitudini di vita, con cadenze immotivate e irragionevoli, trascinando con sé il proprio nucleo familiare (laddove possibile).
Oltre al disvalore sulla serenità individuale, infatti, si aggiunge quello del coniuge e degli eventuali figli, obbligati l’uno a una vita di disoccupazione a meno di un impiego pubblico, gli altri a continui cambi di istituti scolastici e frequentazioni sociali. E ancora, la costante lontananza dai luoghi di origine e dagli affetti familiari, supportati da un ampio e quasi sempre immotivato criterio di “compatibilità ambientale” (anche in questo caso valido solo per la categoria Ufficiali) che sradica dai luoghi di origine il personale con conseguente perdita della conoscenza del territorio e minore agio nel sostenere i nuclei familiari di origine. Orbene, se appare accettabile l’assioma di una vita al servizio del cittadino, della comunità e dell’Arma dei Carabinieri con il quale l’Ufficiale è stato formato, non si comprendono le ragioni per le quali una scelta di vita così nobile debba essere automaticamente ed ex abrupto esteso su tutte le persone che fanno parte della vita dello stesso. Tra l’altro, sorge spontanea la domanda generale, cui prodest?
Le modalità sinora evidenziate tutto garantiscono meno che l’efficienza di un Reparto e, di conseguenza, dell’Istituzione nel complesso. Un dirigente insoddisfatto, frustrato e costretto a sacrifici estremi dal punto di vista familiare non potrà che lavorare in maniera qualitativamente inferiore. Concetto, quest’ultimo, da decenni acquisito da qualsiasi società privata che fa del benessere del personale tutto il presupposto per il miglioramento di qualsiasi dei propri asset. E comunque fatto proprio da tutte le altre FF.PP. e FF.AA., le quali sono caratterizzate da una politica di impiego assolutamente più umana e rispondente alle reali esigenze private dei singoli ufficiali.
b. Unità familiare e disparità di trattamento
Nella totale irragionevolezza di questi aspetti, appare d’uopo sottolineare come le generazioni degli ufficiali generali al momento in grado di orientare la gestione del personale ufficiali, basi evidentemente il proprio credo su una visione distonica della società, orientata su una prevalenza maschile del comparto dirigenziale (in parte ancora attuale) che, storicamente, poggiava le basi della propria esistenza privata su una prevalenza di nucleo familiare monoreddito, una presenza femminile meno addentrata nelle dinamiche lavorative-professionali rispetto ad oggi e, quindi, più propensa ad abbandonare ogni velleità carrieristica a vantaggio dell’equilibrio coniugale. Come è possibile non considerare, nel 2021, un cambiamento sociale così cristallino come la giusta presenza sempre più marcata di una Donna protagonista e partecipe del mercato del lavoro, con la sana voglia di realizzarsi anche in ambito professionale? E per quale motivo l’ufficiale coniugato/convivente con un dipendente pubblico ha diritto all’unità familiare (Legge 100/1987) mentre, diversamente, l’ufficiale coniugato/convivente con un lavoratore privato non gode, di fatto, della stessa garanzia?
Le conseguenze delle attuali politiche di impiego, seppur empiricamente evidenti, non sono oggetto di valutazione statistica all’interno di un’Amministrazione Militare che, invece, fa di numeri e percentuali una costante ragion d’essere. Tuttavia, basta una minima conoscenza degli Ufficiali attualmente in servizio per sorprendersi in negativo del numero di separazioni/divorzi e delle famiglie pressoché disastrate da rapporti genitoriali talvolta adempiuti a distanza. Il risultato è quello di un generalizzato profondo malcontento da parte della categoria Ufficiali che ha raggiunto l’apice nell’ultimo periodo e che ha portato, tra l’altro, a un aumento esponenziale dei congedi a vantaggio di realtà lavorative maggiormente remunerate e, soprattutto, connotate da rapporti di impiego semplicemente più umani.
7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
a. Costituzionalizzazione
Confrontandosi con il passato si può notare un mutamento del quadro politico istituzionale di sfondo: nei sistemi liberal democratici contemporanei, l’ordinamento militare non può più vantare alcuna forma di autonomia e separatezza istituzionale. Con la costituzionalizzazione, infatti, l’ordinamento militare è passato da una concezione istituzionalistica ad una più democratica che lo ha ricondotto nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini così come ricordato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 332/2000 : «la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli “cittadini militari” non recede quindi di fronte alle esigenze della struttura militare. Il secondo comma dell’art. 52, infatti, impone la tutela della dignità della persona umana e la garanzia «di tutti quei diritti la cui esplicazione non sia di assoluto impedimento alle esigenze militari».
Senza voler trascurare le peculiarità dello status di militare, senza disconoscere che l’amministrazione militare è preposta alla cura di interessi pubblici di primaria importanza, va però affermato, che negare al destinatario dell’atto, la possibilità di conoscere le ragioni del provvedimento per esso pregiudizievole, vale tanto nell’ordinamento militare, quanto in quello civile, ad un diniego di fondamentali valori di democrazia. Fermo restando dunque, il potere dell’amministrazione militare di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del soggetto dipendente, con sacrificio degli interessi a questo facenti capo a fronte del perseguimento e soddisfacimento dei fini istituzionali, dovrebbe rivolgersi maggiore attenzione alle modalità con cui detto sacrificio deve attuarsi; ciò soprattutto in virtù dei principi fondamentali del nostro ordinamento, primo tra tutti il superiore principio di legalità “a meno di voler ancora persistere nella tralatizia rappresentazione di un ordinamento militare con zone immuni dal contagio costituzionale.
b. Le possibili soluzioni
Trovare delle possibili soluzioni a un sistema palesemente fallace e legato a logiche del passato è la vera sfida di oggi. Sarebbe semplicistico il parallelismo con altre compagini del comparto sicurezza, Polizia di Stato e G.d.F. su tutte, poiché troppo diverse sotto il profilo ordinativo rispetto alla specificità dell’Arma dei Carabinieri che ha fatto e fa ragion d’essere della sua esistenza la diffusione capillare dei propri presidi sul territorio. L’idea del presente capitolo è quella di proporre degli spunti di pensiero – ovviamente ricalcati sulle criticità palesate precedentemente -, ampliabili e suscettibili di modifiche. L’esigenza primaria è certamente la trasparenza amministrativa, che garantisce la discrezionalità dell’amministrazione ma ne evita l’arbitrarietà: regole chiare, univoche e soprattutto ostensibili alla totalità degli Ufficiali interessati cui si aggiungano dei criteri realmente meritocratici che diano considerazione all’impegno profuso e al rendimento offerto dal singolo professionista, non più considerato come una pedina inquadrata in un sistema stantio e logicamente poggiato su dinamiche, nella più rosea e positiva interpretazione, giovanili e di formazione professionale.
Parimenti e di stretta correlazione appare la necessità di soppesare i reali bisogni dell’Amministrazione, comunque preminenti, con l’altrettanto legittima e meritevole esigenza di unità familiare e di educazione della prole dell’ufficiale movimentato, venendo incontro in maniera concreta e pragmatica sia alla pretesa/diritto di impiego del coniuge lavoratore, a prescindere dalla natura pubblica o privata della sua posizione contrattuale, sia ai bisogni dei figli in età scolare, privilegiando la possibilità del completamento di iter scolastici unici, da non frammentare tra le Alpi e la Sicilia.
Le modalità pratiche per realizzare quanto sopra sono molteplici: dall’applicazione delle modalità Ge.Tra. al comparto Ufficiali fino alla gestione di preferenze e vacanze organiche trasparenti e disponibili a tutti durante la manovra di impiego annuale. L’Ufficio Personale Ufficiali del Comando Generale potrebbe, ad esempio, rendere manifeste, in maniera chiara e trasparente, tutte le sedi rientranti nella manovra di impiego, chiedendo agli ufficiali in avvicendamento di esprimere l’eventuale gradimento per una o più di quelle elencate, per poter poi giungere ad una determinazione che soddisfi sia le peculiari esigenze dell’amministrazione, sia le importanti necessità professionali e private del militare movimentato.
Forse l’aspetto di dettaglio è davvero l’ultima delle priorità; ciò che conta, oggi come ieri, è la volontà di anelare a un necessario cambiamento che dia linfa e respiro a un’Arma dei Carabinieri sempre più agonizzante. Fiat lux.
L’occasione mi è congeniale per esprimerVi i più cordiali e affettuosi saluti.
Antonio Nicolosi
Segretario generale Unarma