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LA GUERRA DEL PETROLIO

da | 4 Ottobre 2022 | CENTRO STUDI POLITICO ECONOMICA

La decisione dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) di tagliare la produzione di 2 milioni di barili al giorno si scaglia come un fulmine a ciel sereno nella già complessa situazione energetica globale. Secondo i dati della multinazionale petrolifera inglese BP riferiti al 2021, l’OPEC con la sua produzione di 31,7 milioni di barili al giorno rappresenta il 35% della produzione mondiale di greggio.

Elaborazione CSPE UNARMA su dati BP

Con un’estrazione globale giornaliera di 89,9 milioni di barili, il taglio preannunciato rappresenta il 2,3% del totale, una quantità notevole considerato che è equivalente alle capacità della Norvegia, maggiore produttrice europea.

Un provvedimento, quello dell’OPEC+, cha avrà pesanti ripercussioni sull’andamento dei prezzi, ed ha già provocato le stizzite reazioni da parte degli USA. Gli Stati Uniti, infatti, nonostante siano il primo paese al mondo per numero di barili estratti, sono importatori di greggio e quindi risentono delle variazioni dei costi sul mercato.

Elaborazione CSPE UNARMA su dati BP

In una condizione ancora peggiore si troverà l’Unione Europea, completamente dipendente dal petrolio altrui, che con la decisione di applicare un tetto al prezzo del greggio russo in pratica ha detto addio alle forniture del terzo produttore mondiale.

Dall’evolversi della situazione questo Centro Studi ne ricava due osservazioni, la prima di natura prettamente economica: una minore offerta farà aumentare il costo del petrolio e di conseguenza i ricavi dei produttori. Attualmente i paesi esportatori stanno anticipando la perdita di introiti dovuta alla prossima recessione che farà crollare i consumi; i paesi OPEC non rinunceranno alla loro remuneratività, con buona pace del Presidente del Consiglio uscente Mario Draghi e del price cap europeo.

La seconda considerazione è di carattere geopolitico: l’Arabia Saudita è storicamente il principale partner mediorientale degli Stati Uniti. Questa presa di posizione, opposta ai voleri americani, lascia pensare che ci troviamo in una fase di profondo cambiamento degli equilibri politici mondiali. Se all’OPEC sommiamo anche la quota di produzione delle altre nazioni facenti parte dei BRICS, ne deriva che la Russia ed i suoi alleati commerciali producono il 50% dell’oro nero globale, di cui una parte consistente è destinata all’esportazione. Il potere negoziale di queste organizzazioni, amplificato dalla crisi energetica, rafforza lo status dei paesi che ne fanno parte e li pone come interlocutori influenti nei consessi internazionali, come confermato dal fatto che le sanzioni contro Mosca sono state finora circoscritte al solo blocco atlantico.

L’UNIONE EUROPEA, TRA IDEOLOGIA E REALTA’

Mentre il mondo si avvia velocemente verso uno stravolgimento dei rapporti di forza, con le potenze emergenti che rivendicano un ruolo di primo piano nel prossimo scacchiere internazionale, l’Unione Europea, tra un rinvio e l’altro, tergiversa alla ricerca di condivisione su soluzioni che ormai sono state superate dagli eventi. Questo immobilismo condannerà il continente alla peggiore crisi economica dal dopoguerra; la crescente tensione sociale costringerà i paesi UE ad avviare iniziative individuali, come peraltro già intrapreso da Germania e Francia, e le frizioni tra gli stati membri saranno tali da portare alla possibile disgregazione della moneta unica.

Non bisogna dimenticare che la rincorsa verso l’alto dei prezzi del settore energetico è iniziata più di un anno fa, indotta dai frettolosi programmi europei di abbandono dei combustibili fossili in favore delle fonti rinnovabili. Mentre nel continente vengono riattivate le centrali a carbone, le misure contenute nell’agenda 2030 e nel Fit for 55 appaiono come provvedimenti di natura ideologica, in quanto per obbiettivi e tempistiche non sono attuabili nella realtà odierna, salvo un drastico taglio ai consumi di famiglie ed imprese.

Ma per quanto tempo i cittadini europei saranno disposti a sopportare la perdita di posti di lavoro ed a subire i risvolti negativi del caro energia? Questa è la domanda a cui i politici UE dovranno dare una rapida risposta, prima che la rabbia sfoci in violente proteste di piazza.